L'amaro Natale di De Filippo è una cruda constatazione del fallimento della famiglia. Latella spinge agli estremi la propria regia, pluripremiata nella passata stagione (Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2015 per la Miglior regia, Premio ANCT, Premio Nico Garrone 2016, Premio Ubu 2015, Premio Hystrio 2016 a Monica Piseddu come Miglior attrice).
Dal 10 al 22 gennaio arriva al Teatro Carignano di Torino – per la stagione dello Stabile cittadino – Natale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo, con la regia di Antonio Latella: uno spettacolo dalla rispettosa filologia drammaturgica (il testo originale è praticamente intatto), accompagnata da una radicale riscrittura sul piano interpretativo, scenico e visivo.
Regista tra i più in vista della generazione under 50, nuovo direttore della Biennale Teatro di Venezia, Antonio Latella reinterpreta qui l’eredità di Eduardo come autore, artista e personaggio dal respiro europeo. Un’eredità che ha il suo filo conduttore nello studio e nel confronto con la tradizione alla ricerca di forme nuove, affrancate dalla riproduzione e dai condizionamenti. Nell'iconografia teatrale classica, Natale in casa Cupiello coincide con una domestica discesa all'inferno e ricostruisce, nella cornice del Natale e nell'apparentemente innocua preparazione del presepe, un ritratto di famiglia fatto di menzogne, segreti, frustrazioni, umiliazioni e ambizioni.
Natale in casa Cupiello ha avuto una gestazione complessa. Lo testimonia l’attaccamento dell’autore al testo, che nasce nel 1931 come atto unico. Ampliato a tre atti, Eduardo lo interpreta fino alla fine degli anni Settanta, continuando a lavorare al copione, arricchendolo, tagliandolo, ridefinendo i personaggi secondari, curandone le versioni radiofoniche e soprattutto quelle televisive.
Luca Cupiello tenta di ricostruire la sua famiglia ideale attraverso il presepe. Ma ecco il dramma: nessun componente della famiglia riesce a ritrovarsi, o meglio a riconoscersi, davanti alla natività che ogni anno il capofamiglia ricompone; nessuno sa gioire più di quella innocenza fanciullesca che nella sua assoluta cecità Cupiello esalta.
Latella si addentra in una rilettura dove simboli e azioni gridano la critica al perbenismo e alla celebrazione di un modello sociale e familiare ipocrita già negli anni Trenta. La sua trasposizione registica è ricca di suggestioni, metafore e rimandi teatrali, letterari e musicali: vi si trova il Pirandello dei Sei personaggi nei protagonisti schierati in proscenio, immobili, nella presentazione che fanno di sé durane il primo atto; il Brecht di Madre Coraggio, in un pesante carro trascinato dalla protagonista nel secondo atto. E ci sono, infine, il tono, l'atmosfera, e le pose, della pittura barocca napoletana, a suggellare una messinscena di pura teatralità contemporanea, di intelligente lettura di un “classico” lontana dai cliché di una certa tradizione che vorrebbe le opere di Eduardo De Filippo riproposte secondo stilemi canonici.
Domina la messinscena la ricerca continua di un dialogo tra lingua italiana e napoletana, non dimenticando mai il confronto tra radici e trasformazione, origini e innovazione. Proprio nella lingua risiede l'omaggio di Latella all'Eduardo artista, drammaturgo di portata europea.